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Il numero 25 raccoglie i comunicati stampa del Dicembre del 2015. Nel primo ci siamo occupati dello scandalo della ferrovia Formia-Gaeta, che doveva essere terminata nel 2010 ma che invece è ancora incompleta, nonostante i tantissimi soldi spesi. Nel secondo, partendo dal caso di un macellaio licenziato dal conad che si trova in via Vitruvio, abbiamo denunciato la cancellazione di una lunga serie di tutele dei lavoratori. Nel terzo abbiamo denunciato la mancata applicazione, in particolare nel settore pubblico, della Legge 68/99, che stabilisce che i datori di lavoro privati e pubblici con più di 15 dipendenti al netto delle esclusioni, siano tenuti ad avere alle proprie dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie protette (disabili) iscritti in appositi elenchi gestiti dall’Agenzia del lavoro della provincia di riferimento. Nel quarto abbiamo espresso la nostra solidarietà ai lavoratori della grande distribuzione che sono in lotta per il rinnovo del contratto di lavoro, scaduto da oltre 22 mesi. Nel quinto abbiamo sottolineato la gravità del mancato funzionamento di una parte dell'impianto antincendio dell'istituto alberghiero, di cui si sono accorti durante un incendio. Nel sesto abbiamo espresso i nostri dubbi riguardano invece la riapertura del teatro “Remigio Paone”. Nel settimo abbiamo sottolineato come legge di stabilità 2016 sia un un inno al neoliberismo. Nell'ottavo abbiamo chiesto chiarimenti circa la realizzazione di un asido nido prefabbricato (progetto “MILLE ASILI PER IL LAZIO”).

circolo “ENZO SIMEONE”

partito della Rifondazione Comunista

Formia

La ferrovia Formia-Gaeta è uno schiaffo in faccia ai cittadini del golfo

27 Dicembre 2015

Nel maggio 2015 abbiamo appreso – dagli organi di stampa – che il consorzio industriale del sud pontino, il cui direttore è il consigliere comunale di Formia Salvatore Forte, ha deciso di acquistare un certo numero di automotrici (e non locomotori) diesel tipo ALN 668 usati, motivo per il quale si chiedeva alle aziende interessate di far pervenire, a mezzo di raccomandata A/R, una propria manifestazione di interesse.

Successivamente si sarebbe proceduto all’acquisto con affidamento ai sensi del D.Lgs. 163/2006 e ss.mm.ii., invitando le ditte che avrebbe manifestato l’interesse. Il criterio di aggiudicazione sarebbe stato quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Consultando il sito del consorzio industriale del sud pontino abbiamo potuto appurare che l’acquisto dei automotrici diesel non è ancora avvenuto.

Quello della ferrovia Formia-Gaeta, nota anche come metropolitana leggera, è una storia che dimostra la miopia della classe politica dell’intero comprensorio del golfo e l’incapacità di andare oltre il solito chiacchiericcio che abbonda sulle loro bocche.

Nel Maggio 2006 durante una conferenza dei capigruppo presieduta dall’allora sindaco Sandro Bartolomeo e dal presidente del consiglio comunale, Eleonora Zangrillo, venne presentato il progetto preliminare.

Alla riunione intervennero anche l’allora presidente del Consorzio Industriale sud pontino, Leandro La Croix, e il progettista, architetto Paolo Portoghesi.

Due le fermate previste: una a Formia, nella zona retrostante la clinica “Casa del Sole”, attigua alla località San Remigio, completa di un’area per la sosta e l’altra a Gaeta, nella zona di Bevano, dove è ubicato attualmente il Consorzio Industriale.

Previsti anche i lavori per il collegamento della ferrovia con il porto di Gaeta, per il trasporto dei prodotti agroalimentari verso la stazione di Formia.

Nel febbraio 2008 gli allora sindaci di Gaeta (Raimondi) e di Formia (Bartolomeo) illustrarono in una conferenza stampa congiunta i benefici che il comprensorio avrebbe ricevuto dalla realizzazione dell’opera. Venimmo, inoltre, a conoscenza anche di alcuni variazioni ( dei costi dell’opera: circa 8milioni di euro, divisi in due tranche: la prima di quattro milioni di euro già spesi e la seconda di tre milioni di euro che avrebbe dovuto stanziare la regione Lazio, dell’allora presidente Piero Marrazzo.

L’opera subiva inoltre della variazioni, con addirittura l’ipotesi di un prolungamento successivo fino a Suio Terme.

Nell’aprile 2008 la regione Lazio dava il via libera alla riattivazione della ferrovia, ma il costo dell’opera schizza a 26milioni di euro.

Il nuovo progetto prevedeva – secondo gli organi di stampa – il ripristino di un tracciato di circa 9 km a binario unico, la riattivazione della sede ferroviaria nella tratta centro intermodale – Gaeta centro con adeguamento del tracciato; la realizzazione della nuova stazione di Gaeta e di 3 fermate intermedie con relativi parcheggi di scambio; L’elettrificazione della linea da Gaeta centro a Formia e la realizzazione degli impianti di segnalamento e sicurezza. Sulla linea erano previsti 3 treni ogni ora per senso di marcia e una velocità commerciale di circa 60 km/h.

I lavori per riattivazione della linea ferroviaria Formia-Gaeta si sarebbero dovuti concludere nel 2010.

Peccato che siamo pronti a festeggiare l’arrivo del 2016 e la Formia-Gaeta si è persa nelle pieghe della storia e nell’incapacità di una classe politica (quella di allora e quella di oggi) di dettare le linee guida per uno sviluppo sostenibile delle città del golfo di Gaeta, in particolare per Formia e Gaeta, entrambe coinvolte direttamente nel progetto della linea ferroviaria che avrebbe dovuto unire le due città, che da occasione di sviluppo – o almeno così ci è stata venduta – per il nostro territorio diventa l’ennesima occasione di spreco.

Pare inoltre che dalla regione Lazio abbiano preso atto dell’incapacità dei nostri politici e abbiano spostato i soldi altrove.

C’è chi si è abituato a questo andazzo, noi no e, purtroppo per loro, continueremo a denunciare ciò che avviene.

Circolo “Enzo Simeone”

Partito della Rifondazione Comunista

Formia

Con la complicità della politica si continuano a massacrare i lavoratori

24 Dicembre 2015

Ultimo in ordine di tempo è il caso del macellaio licenziato per ingiusta causa dal posto di lavoro (Conad di via Vitruvio a Formia) e mai reintegrato nonostante una sentenza del tribunale del lavoro di Cassino che imponeva al suo datore di lavoro di farlo. La sua colpa è quella di essersi assentato dal lavoro, in quanto vittima di un grave infortunio occorsogli nel luglio 2013.

Un epoca la nostra nella quale si continuano a massacrare i lavoratori, cancellando quelle che sono le tutele (non privilegi) strappate con anni di lotte.

Ormai il mercato del lavoro è dominato dagli istinti peggiori del capitalismo.

D’altronde mai la politica è stata così ossequiosa nei confronti dei padroni, rinunciando a schierarsi dalla parte dei lavoratori e regalando loro leggi che di fatto gli danno carta bianca, per portare avanti i loro obbiettivi, che è quello di avere lavoratori ricattabili in quanto precari.

Lo stesso presidente del consiglio Renzi – in un suo post su facebook – ha scritto:“Secondo l’Inps nei primi 10 mesi del 2015 abbiamo ottenuto 415.577 posti di lavoro in più rispetto allo stesso periodo del 2014. C’è chi lo chiama caso, c’è chi lo chiama Jobs Act”.

Ed invece le cosa stanno diversamente.

Il presidente del consiglio omette volutamente di scrivere che i nuovi posti di lavoro di fatto sono la sola trasformazione di contratto esistenti, ma questa non è purtroppo una novità: Renzi va avanti in questo modo da molto tempo, raccontando bugie sull’occupazione che non mostra segni di ripresa.

I nuovi contratti, infatti, sarebbero poco più di centomila.

Poco più di un anno fa Renzi guardava il bicchiere mezzo pieno e affermava che «Gli occupati stanno aumentando, con più di centomila posti di lavoro da febbraio».

Anche in quel caso stava manipolando i dati a proprio piacimento, ma la questione da sottolineare è che quando l’imbonitore di Palazzo Chigi diceva quelle cose il Jobs act non era stato approvato.

Un provvedimento con il quale il governo ha regalato alle imprese diversi miliardi di euro, senza ottenere alcun significativo miglioramento dell’occupazione, mentre è aumentata la precarietà, che rimane la forma contrattuale preferita dalle imprese, come mostrano anche le ultime elaborazioni sul Jobs act.

Secondo la Cgil, i provvedimenti del governo Renzi di «deregolazione del lavoro che vanno sotto il nome di Jobs Act e dei connessi incentivi previsti dalla precedente Legge di stabilità», sono costati 5,9 miliardi di euro solo nel 2015.

Peccato che a questa spesa enorme ha corrisposto un aumento degli occupati a tempo indeterminato di meno di 2.400 unità.

Due milioni e mezzo di euro per ogni nuovo occupato a tempo indeterminato. E comunque le imprese continuano ad assumere soprattutto con contratti precari, come dimostrano i 178.000 neoassunti con contratti a tempo determinato rilevati dalla Cgil.

Insomma, niente di nuovo sul fronte del lavoro. Le menzogne di Renzi non possono nascondere i suoi fallimenti che si traducono con l’occupazione che non aumenta, a differenza dei soldi regalati alle imprese insieme alla precarietà estesa a tutti i livelli.

Con il Jobs act il governo guidato dal segretario del Pd ha finanziato con la fiscalità generale, praticamente con i soldi dei lavoratori, l’aumento della precarietà e della ricattabilità degli stessi lavoratori.

Stendiamo poi un velo pietoso poi sui tirocini retribuiti previsti dal bando PLUS “Appia via del Mare”, il Piano Locale Urbano di Sviluppo che, con i fondi del “POR FESR Lazio 2007-2013”, si proponeva di stimolare – con una spesa iniziale di 100mila euro poi aumentata a 200mila euro – l’occupazione.

Il bando “Work – Experience” offriva a disoccupati e inoccupati residenti nel Comune di Formia l’opportunità di attivare percorsi di formazione professionale da 3 a 6 mesi interamente rimborsati presso aziende e studi professionali del territorio cittadino.

L’attività di tirocinio settimanale doveva essere compresa tra un minimo di 20 ed un massimo di 32 ore.

Al tirocinante sarebbe stata inoltre riconosciuta un’indennità di frequenza di 600 euro lorde mensili.

Quindici le domande ammesse (Verbale n. 4 del 28/10/2014) al finanziamento, con la probabile aggiunta di altre, visto l’aumento del budget.

Quanti di quei tirocini sono diventati lavori veri e propri? Non è ovviamente dato sapere.

Su di un totale di 6milioni e 692mila euro solo 200mila euro sono stati stanziati per il lavoro, creando tra l’altro 0 posti di lavoro.

Oppure ancora i 265mila euro per per gli incentivi alle PMI (piccole-medie imprese), di cui ignoriamo i criteri con i quali sono stati scelti i beneficiari dei contributi pubblici.

Intanto i cittadini precari, disoccupati, inoccupati, lavoratori a basso reddito, i senza speranza continuano a patire la fame.

Circolo “Enzo Simeone”

Partito della Rifondazione Comunista

Formia

Disabili, fatta la legge trovato l’inganno

19 Dicembre 2015

La Legge 68/99 stabilisce che i datori di lavoro privati e pubblici con più di 15 dipendenti al netto delle esclusioni, siano tenuti ad avere alle proprie dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie protette (disabili) iscritti in appositi elenchi gestiti dall’Agenzia del lavoro della provincia di riferimento.

Inoltre, l’articolo 18 della Legge 68/99 prevede che i datori di lavoro che occupano oltre 50 dipendenti hanno l’obbligo di assumere: vedove e orfani del lavoro, per servizio, di guerra e i profughi italiani, nella misura di un’unità nel caso di aziende che occupano da 51 a 150 dipendenti e nella misura dell’1% per le restanti (percentuale che si aggiunge al 7% previsto per l’assunzione dei disabili).

Anche i cittadini extracomunitari, regolarmente presenti in Italia, riconosciuti disabili da uno degli enti italiani preposti al riconoscimento dell’invalidità, rientrano nel computo delle categorie protette secondo la Legge 68/99.

Il Settore Politiche del Lavoro della provincia di Latina pubblica ha pubblicato nei giorni scorsi l’elenco – aggiornato al 15 dicembre 2015 – delle aziende pubbliche e private che non rispettano la Legge 68/99.

Nel pubblico troviamo l’assurdo caso dell’azienda unità sanitaria di Latina che avrebbe dovuto assumere 62 disabili e 2 persone con i requisiti previsti dall’articolo 18 della legge 68/99, il comune di Gaeta con 6 disabili non assunti, la sede di Latina del ministero dell’economia e delle finanze con 4 disabili non assunti, la sede di Latina del ministero dell’interno con 4 disabili non assunti.

Nel privato invece tra le aziende che violano la Legge 68/99 ci sono: la CATALENT ITALY SPA con 9 disabili non assunti, la ESSELUNGA SPA con 6 disabili non assunti, G.I.O.M.I. SPA con 8 disabili non assunti, la IPS SPA con 5 disabili non assunti e la U.S LATINA CALCIO SRL con 4 disabili non assunti. Oltre 100 i disabili a cui è negato un lavoro, nonostante la Legge 68/99 c lo preveda.

Le imprese private e gli enti pubblici economici che non adempiano agli obblighi previsti dalla legge 68/99 per il diritto al lavoro delle persone disabili sono soggetti a sanzioni amministrative (art. 15 – comma 1 della legge 68/99).

Per le pubbliche amministrazioni inadempienti agli obblighi della legge ci sono anche sanzioni di tipo penale.

Ovviamente fatta la legge trovato l’inganno. Infatti la Legge 68/99 prevede I datori di lavoro privati e gli enti pubblici economici che, per le speciali condizioni della loro attività non possono occupare l’intera percentuale di disabili, possono essere parzialmente esonerati dall’obbligo di assunzione, a condizione che versino al Fondo regionale per l’occupazione dei disabili un contributo esonerativo nella misura di euro 30,64 per ogni giorno lavorativo riferito a ciascun lavoratore disabile non occupato.

Per capirci nel caso l’azienda unità sanitaria di latina per non aver assunto 62 disabili deve pagare 1899,68 euro al giorno, che diventano 693mila euro per l’intero anno.

Veramente difficile mandar giù il fatto che si impedisca ai disabili di esercitare il diritto al lavoro, così come previsto dalla normativa attuale.

D’altronde cosa aspettarsi da chi in questi anni ha trasformato il lavoro in merce e considera i lavoratori una zavorra di cui liberarsi

Circolo “Enzo Simeone”

Partito della Rifondazione Comunista

Formia

La lotta dei lavoratori della grande distribuzione continua

17 Dicembre 2015

Le lavoratrici e i lavoratori della grande distribuzione scioperano una seconda volta il 19 dicembre dopo la mobilitazione del 7 novembre, e manifestano a Milano.

Rifondazione Comunista sostiene con forza la loro lotta, che è importantissima per i salari e le condizioni di lavoro di tutte le lavoratrici e i lavoratori.

Lo è perché in questo settore si è sperimentato in questi anni il massimo dello sfruttamento moltiplicazione dei contratti con ogni forma di precarietà, subordinazione della vita delle lavoratrici e dei lavoratori ai tempi delle imprese, liberalizzazione degli orari che ha invaso giorni festivi, impedendo le normali relazioni tra le persone.

Tutto questo non basta, infatti non solo non viene rinnovato il contratto scaduto da 22 mesi ma i padroni della grande distribuzione pretendono di tutto e di più: taglio degli scatti di anzianità e delle ore di permesso retribuito, sterilizzazione di 13esima e 14esima per il calcolo del TFR, aumento degli orari e della flessibilità gestita unilateralmente dalle aziende.

Le grandi centrali cooperative vogliono ridurre il costo delle ore di lavoro, tagliare le maggiorazioni per il lavoro domenicale, notturno, straordinario e supplementare, tagliare le retribuzioni per le malattie brevi, derogare al contratto per sud.

Sono spesso i giovani e le donne i dipendenti della grande distrazione, e su di essi si vorrebbero scaricare una concorrenza feroce, che vede i diritti dei lavoratori continuamente violati.

Noi diciamo no con le lavoratrici e i lavoratori che sciopereranno sabato. E’ grottesco che la grande distribuzione si lamenti di una crisi dei consumi che affonda le proprie radici in quella diminuzione dei salari e svalutazione del lavoro che vuole aggravare con le proprie inaccettabili pretese.

Diciamo si a condizioni di salario e di lavoro dignitose e ci impegniamo a lavorare perché venga rimessa radicalmente in discussione la liberalizzazione degli orari introdotte dal governo monti nel 2011. Monti allora disse che con le liberalizzazioni il prodotto interno lordo sarebbe salito dell’11%, i consumi dell’8% e i salari reali di quasi il 12%.

Si è dimostrata essere una balla stratosferica, infatti le liberalizzazioni hanno solo aumentato il dumping tra piccola e grande distribuzioni, peggiorato la qualità della vita delle lavoratrici e dei lavoratori e delle loro famiglie, tagliato il tempo per il riposo e per le relazioni umane.

E’ ora di dire basta a questo gioco al massacro, nel quale i lavoratori e le lavoratrici sono diventati solo “carne da macello” e la dignità del lavoro è schiacciata sotto il tallone delle esigenze produttive di impresa e delle ferree ed ineluttabili leggi neoliberiste di mercato.

Circolo “Enzo Simeone”

Partito della Rifondazione Comunista

Formia

All’istituto alberghiero l’impianto antincendio non funziona: un fatto gravissimo

14 Dicembre 2015

Siamo rimasti senza parola quando abbiamo appreso che grazie ad un principio di incendio verificatosi nel primo pomeriggio di Venerdì 11 Dicembre all’interno di un locale del convitto dell’istituto alberghiero di Formia, i Vigili del Fuoco della squadra di Gaeta hanno accertato il malfunzionamento delle pompe antincendio dell’edificio scolastico.

Pare che il problema che l’istituto alberghiero di Formia avesse da anni l’impianto antincendio mal funzionante e nonostante ciò l’istituto è rimasto comunque aperto.

Eppure ogni scuola, come ogni luogo di lavoro, deve essere in regola con le norme di sicurezza antincendio, così come previsto dalla normativa vigente.

Leggendo un manuale sulla sicurezza nelle scuole – trovate in rete – abbiamo appreso che “nelle scuole con numero di presenze contemporanee non superiore a 100 persone sono previsti interventi di prevenzione minimali: strutture Rei 30, impianti elettrici a regola d’arte, segnaletica di sicurezza, estintori, sicurezza dell’esodo ecc. In quelle con più di 100 persone contemporaneamente presenti deve essere invece disponibile il certificato di prevenzione incendi (e lo stato della scuola deve essere conforme) approvato dai vigili del fuoco.

Deve esserci inoltre il Piano di emergenza (Pe), il registro dei controlli, idoneo impianto antincendio, impianto di rilevazione e di allarme, individuazione dei percorsi protetti, luoghi sicuri, vie di fuga, uscite di emergenza, formazione degli addetti all’antincendio, informazione, formazione e addestramento del personale, verifiche periodiche dei mezzi e del sistema antincendio ecc. È importante anche che tutti i lavoratori e gli alunni, non solo gli addetti al servizio antincendio aziendale, siano coinvolti nell’attività di prevenzione e abbiano le informazioni e le conoscenze per intervenire correttamente in caso di necessità.

In particolare poi le scuole devono essere munite di un sistema di allarme in grado di segnalare il pericolo a tutti gli occupanti, con comando posto in locale costantemente presidiato durante il funzionamento della scuola.

L’impianto antincendio deve essere dotato di mezzi e impianti fissi di protezione ed estinzione secondo quanto stabilito dalla legge: i locali scolastici a maggior rischio e carico di incendio, nei quali non sia prevista la presenza continuativa di personale, devono essere muniti di impianto di rilevazione automatica di incendio se fuori terra, di impianto di rilevazione e di estinzione automatica se interrati.

È comunque bene prevedere impianti automatici di spegnimento e di estrazione dei fumi nei luoghi di lavoro di grandi dimensioni o complessi o a protezione di aree a elevato rischio di incendio, posizionando i mezzi antincendio in luoghi di facile accesso e segnalandoli in modo adeguato.

L’attrezzatura antincendio deve essere facilmente raggiungibile senza ostacoli momentanei o fissi. Deve esserci un estintore portatile almeno ogni 200 mq di pavimento, con un minimo di due estintori per piano.

Gli estintori, come gli altri presìdi antincendio, vanno verificati almeno ogni sei mesi.

Gli addetti al servizio antincendio devono inoltre sottoporre a regolare sorveglianza le misure di protezione e i mezzi antincendio, di estinzione, rilevazione e allarme, gli impianti di captazione e abbattimento fumi, le vie di fuga ecc”.

Peccato che alcune di queste disposizioni per l’istituto alberghiero non valessero, tanto che al primo incendio si sono accorti che l’impianto antincendio non funzionava.

Un fatto gravissimo soprattutto se pensiamo che a rimetterci in questi casi può essere l’incolumità degli studenti e del personale che vi lavora.

Dall’anno scolastico 2009/2010 la manutenzione degli estintori non è più di competenza degli istituti scolastici, in quanto la stessa è stata affidata alle province nelle quali gli stessi si trovano.

Possibile che a nessuno sia mai venuto in mente di controllare che tutto fosse in regola?

Ci domandiamo inoltre come mai da nessuna forza politica sia venuta la richiesta di chiarimenti su un fatto così grave.

Evidentemente prevale l’operato negligente di chi doveva controllare che tutto fosse in regola, ma non lo ha fatto.

Eppure si spendono – ogni anno – milioni di euro per cose inutili e si lesinano invece su cose ben più importanti, come la sicurezza degli studenti e dei lavoratori degli istituti scolastici.

Oppure sotto c’è dell’altro?

Speriamo che qualcuno si degni di risponderci, così come speriamo che vengano immediatamente implementati tutti i controlli del caso per impedire che ciò che è avvenuto nell’istituto alberghiero non avvenga in altri edifici scolastici, impedendo così che possano accadere tragedie laddove basterebbe veramente poco per impedirle.

Circolo “Enzo Simeone”

Partito della Rifondazione Comunista

Formia

Lo scandalo dei regali alla chiesa continua senza sosta

12 Dicembre 2015

La lettura giornaliera dell’albo pretorio online del comune di Formia ci ha permesso – in questi anni – di raccontare il pessimo modo con il quale vengono spesi i soldi di noi cittadini. Ultima chicca in ordine di tempo sono i 50mila euro + IVA che, con delibera n.269 del 29.10.2015, la giunta comunale all’unanimità ha deciso di spendere per i “LAVORI DI RESTAURO DEL CAMPANILE DELLA CHIESA DI S. CATERINA IN CASTELLONORATO”.

I lavori riguarderanno “il rifacimento dell’orologio e di tutti gli impianti connessi al funzionamento, realizzazioni del nuovo sistema di sostegno delle campane, realizzazione del parafulmine sulla sommità del campanile, lavori del vano orologio, restauro del fregio maiolicato ed altre lavorazioni che saranno descritte più precisamente nei successivi gradi di progettazione”.

Per pagare i lavori verrà chiesto un mutuo di scopo alla Cassa Depositi e Prestiti.

Altri soldi pubblici che vanno a finire in un pozzo senza fondo che sono i finanziamenti pubblici elargiti alla chiesa cattolica per la manutenzione di beni di sua proprietà.

Nell’agosto 2015 ci occupammo dell’art. 7 della L.R. (LAZIO) n. 27 del 09.03.1990 che stabilisce che: “in ciascun comune l ’8% delle somme riscosse per oneri di urbanizzazione secondaria dovute, senza tener conto degli scomputi che i titolari delle concessioni abbiano eventualmente ottenuto per la esecuzione diretta di opere di urbanizzazione secondaria e per la concessione delle relative aree, è accantonato in apposito fondo destinato alle opere per nuove chiese ed edifici religiosi nonché ad intervento di manutenzione e per ampliamento, ristrutturazione, restauro, dotazione di impianti di chiese esistenti”.

Per il periodo 2005-2015 la curia diocesana di Gaeta ha comunicato i seguenti beneficiari: Annualità 2005: Parrocchia “Cuore Immacolato di Maria” e “Parrocchia Sacro Cuore di Gesù”; Annualità 2006: Parrocchia “S.S. Lorenzo e Giovanni Battista”; Annualità 2007: Parrocchia “Sacro Cuore di Gesù – loc. Vindicio”; Annualità 2008: Parrocchia “S.S. Lorenzo e Giovanni Battista”; Annualità 2009: Parrocchia “Cuore Eucaristico di Gesù – loc. Penitro”; Annualità 2010: Parrocchia “Cuore Immacolato di Maria”; Annualità 2011: Parrocchia “Cuore Immacolato di Maria”; Annualità 2012: Parrocchia “Cuore Immacolato di Maria”; Annualità 2013: Parrocchia “S.S. Lorenzo e Giovanni Battista; Annualità 2014: Parrocchi “S. Erasmo V.M.”.

Con deliberazione di giunta comunale N. 183 del 22.07.2015 l’attuale amministrazione comunale indicò i seguenti impegni a residuo delle somme a disposizione da liquidare: Anno 2009: Parrocchia “Cuore Eucaristico di Gesù – loc. Penitro” (€ 454.84); Anno 2010-2011-2012: Parrocchia “Cuore Immacolato di Maria” (€ 1.076,77; € 1.962,77; € 8.150,45); Anno 2013: Parrocchia “S.S. Lorenzo e Giovanni Battista” (€ 9.372,88); Anno 2014: Parrocchia S. Erasmo V.M. ( €2.529,38).

Il tutto per un totale di oltre 23mila euro regalati alla Curia Diocesana di Gaeta.

Ovviamente sapevamo bene che non sarebbero bastati a saziare la vorace fame della chiesa romana e infatti sono arrivati altri 50mila euro per i “LAVORI DI RESTAURO DEL CAMPANILE DELLA CHIESA DI S. CATERINA IN CASTELLONORATO”, così come siamo sicuri che altri soldi arriveranno.

Eppure non ci risulta che la Curia Diocesana di Gaeta, guidata dall’arcivescovo Fabio Bernardo D’ONORIO (ex-abate di Montecassino), versi in uno stato di estrema povertà, avendo anche attivato un conto corrente postale e un conto corrente bancario presso Banca Poste Italiane S.p.A , con i quali i fedeli cattolici possono autonomamente contribuire a finanziare la chiesa cattolica.

E’ evidente che la chiesa, da quand’è andata in crisi la DC, non ha trovato di meglio che mettere all’asta il voto dei propri fedeli, con i partiti che vanno per la maggiore che hanno risposto gettando l’osso, cioè soldi pubblici.

D’altronde sappiamo bene quanta e quale sia l’influenza dell’arcivescovo di Gaeta sulle cose formiane, tanto che è riuscito ad ottenere dall’allora sindaco Michele Forte la revoca della delibera con la quale il precedente consiglio comunale aveva istituito il registro delle coppie di fatto, cosa che non era gli andata proprio giù, tanto da scatenare una campagna stampa di inusitata violenza nei confronti dei promotori dell’affronto.

Sono passati oltre due anni dall’insediamento dell’attuale amministrazione di centrosinistra e ancora non è stato ripristinato, evidentemente conta più tenersi buono l’arcivescovo di Gaeta che accontentare gli alleati di Sinistra Ecologia e Libertà, che in campagna elettorale avevano promesso fuoco e fiamme.

Fesso chi ci ha creduto e chi continua a crederci.

Fortunatamente noi non siamo tra questi.

Circolo “Enzo Simeone”

Partito della Rifondazione Comunista

Formia

Cose che succedono solo a Formia

9 Dicembre 2015

L’8 dicembre scorso è stato riaperto il teatro “Remigio Paone” perché potesse andare in scena il “teatro disegnato di Gek Tessaro”, famoso autore e illustratore di libri per bambini.

Ad organizzare l’evento è stata la Casa dei Libri, la biblioteca comunale di Via Cassio dedicata ai bambini, in collaborazione con la Regione Lazio, provincia di Latina e Sistema Bibliotecario del Sud Pontino.

Non abbiamo dubbi sulla riuscita dell’evento, la qualità dell’autore è nota a molti, i nostri dubbi riguardano invece la riapertura del teatro “Remigio Paone”.

E’ necessario partire dalla risposta che ha dato – in data 8 Settembre 2015 – il commissario straordinario regionale dell’IPAB “Santissima Annunziata” , l’avvocata Luciana Selmi – nominato con decreto del Presidente della Regione Lazio 26 giugno 2015, n. T00114 – all’associazione Cultura Collettivo Teatrale Bertolt Brecht, circa la la programmazione del teatro “Remigio Paone”.

Nella stessa risposta apprendiamo che “il teatro medesimo era stato in passato aperto al pubblico, ma allo stato, risulta essere in difetto delle prescritte autorizzazioni”, aggiungendo che “pur nelle difficoltà determinate dal passaggio delle consegne e delle chiavi ancora detenute dalla Fondazione (Alzaia nda), mi sto pertanto impegnando in questi giorni con tecnici ed autorità competenti per definire l’iter autorizzativo e consentire ad operatori e pubblico di accedere alla struttura in condizioni di legalità e sicurezza”.

Abbiamo provato a spulciare sia l’albo pretorio online dell’IPAB “Santissima Annunziata” (proprietaria dell’immobile) che quello della Fondazione Alzaia (che fino al 17 Agosto 2015 aveva la gestione dell’immobile) e abbiamo potuto constatare che ad oggi non ci risulta che il teatro “Remigio Paone” sia stato interessato a delle azioni (o dei lavori) di adeguamento al fine di “consentire ad operatori e pubblico di accedere alla struttura in condizioni di legalità e sicurezza”.

Le uniche azioni effettuate (o gli unici lavori effettuati) all’interno del teatro sono antecedenti alla data dell’8 Settembre 2015 e riguardano i lavori di adeguamento dell’impianto anticendio come da prescrizione del comando provinciale dei vigili del fuoco di Latina e affidati – con delibera n.3 del 17/3/2015 – dalla ditta Nedamar Fire Fighting di Gaeta.

Facile domandarsi quindi chi abbia autorizzato l’apertura del teatro “Remigio Paone”, in assenza di certezze sulle azioni (o sui lavori) di adeguamento, così come aveva sottolineato nella sua lettera il commissario straordinario regionale.

Nel caso in cui tal azioni (o i lavori) non siano stati effettuati ci troveremmo davanti a un vero e proprio abuso, motivo per il quale chiediamo al sindaco Bartolomeo e al commissario straordinario regionale dell’IPAB “Santissima Annunziata” , l’avvocata Luciana Selmi, chiarimenti in merito.

Circolo “Enzo Simeone”

Partito della Rifondazione Comunista

Formia

Legge di stabilità 2016: un inno al neoliberismo

2 Dicembre 2015

Continuano le operazioni di propaganda e manipolazione del governo sulla Legge di Stabilità. Ma la Legge di stabilità per il 2016 è un inno al neoliberismo: prodiga verso le imprese e i ceti abbienti, a cui destina una gran quantità di risorse in tutti i modi possibili, mentre accelera la distruzione di ogni comparto e funzione pubblica con l’eccezione della spesa militare, favorisce l’evasione fiscale, e non dà che qualche mancia per la condizione di disagio sociale dei più deboli.

1. IL RAPPORTO CON I VINCOLI EUROPEI: L’AUSTERITÀ “FLESSIBILE” E IL NEOLIBERISMO

La comunicazione pubblica del governo è tutta centrata alla descrizione di una manovra che finalmente dà e non toglie. Una manovra espansiva con cui si cerca di accreditare anche l’immagine di un premier che mette in discussione le politiche europee.

Non è così. Come viene riaffermato in ogni documento, il governo si muove “nel pieno rispetto delle regole di bilancio adottate dall’Unione Europea”. Nessuna vertenza viene aperta per modificare il quadro delle politiche di austerità, i vincoli su deficit e debito del Fiscal Compact.

Il governo sfrutta invece, concentrandoli nel 2016, i margini di manovra concessi dalla cosiddetta “austerità flessibile”, cioè dalla possibilità di spostare nel tempo il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla UE. Deve essere evidenziato come la flessibilizzazione dell’austerità, cioè delle politiche restrittive sia vincolata ad un di più di neoliberismo, perché ad essa si può accedere solo nella misura in cui si fanno le cosiddette “riforme strutturali”. E’ in nome del Jobs Act, della controriforma costituzionale, del taglio della Pubblica Amministrazione e delle privatizzazioni, in sostanza, che la legge di stabilità del 2016 beneficia della “flessibiità” che consente di disinnescare per il 2016 la clausola di salvaguardia. Le clausole di salvaguardia restano per il 2017 e 2018 rispettivamente per 15,1 e 19,6 miliardi di euro, con l’aumento dell’Iva che viene soltanto posticipato, così come è soltanto posticipato, dal 2017 al 2018, il raggiungimento del pareggio di bilancio strutturale.

Nel frattempo le risorse liberate per il 2016 finiscono in larga parte nel taglio rilevantissimo di tasse sulle imprese come nell’eliminazione delle Tasi, e per citare le Corte dei Conti, dato “il carattere temporaneo di alcune coperture e il permanere di clausole di salvaguardia rinviate al futuro”, questo comporterà per il “loro riassorbimento nel 2017 e nel 2018… l’ individuazione di consistenti tagli di bilancio o aumenti di entrate”.

Il governo in sostanza sfrutta la flessibilità nel 2016 approvando provvedimenti che hanno effetti permanenti ma con coperture temporanee, preparando in tal modo tagli supplementari, già chiarissimamente indirizzati nell’ulteriore attacco a tutto ciò che è servizio o patrimonio pubblico.

La manovra non è comunque tecnicamente una manovra espansiva. L’indebitamento netto passa dal 2,6% del 2015 al 2,4% del 2016 (“clausola migranti” compresa), cioè diminuisce. Il saldo primario passa dall’1,7 del 2015 al 2% del 2016, con la previsione di crescere costantemente per arrivare al 4,3% nel 2019 cioè con la previsione di reperire risorse per ulteriori quaranta miliardi attraverso tagli o aumenti di entrate ed arrivare ad un avanzo di 80 miliardi. Un obiettivo folle e insostenibile, che dovrebbe coesistere con una crescita dell’1,6% del Pil nel 2017 -18 e dell’1,3% nel 2019!

La crescita del Pil, determinata da diverse variabili esterne (come la svalutazione dell’euro sul dollaro a seguito del quantitative easing e la diminuzione strutturale del prezzo del petrolio) viene come sempre sovrastimata per far quadrare i conti. Nè il governo tiene alcun conto della consapevolezza crescente, nel dibattito sulle politiche economiche, per cui tagli delle tasse hanno effetti espansivi inferiori agli effetti depressivi del taglio della spesa pubblica.

Dal punto di vista politico è invece evidente come concentrare la “flessibilità” nel 2016 assolva per Renzi ad una funzione di primaria importanza: rafforzarsi nel passaggio delle elezioni amministrative di primavera, assai rilevanti per numero di elettori e realtà interessate, rimontando la crisi di consensi degli ultimi passaggi elettorali.

2. I SOLDI CI SONO: PER LE IMPRESE, I CETI ABBIENTI, LE SPESE MILITARI.

IRES, decontribuzione, super-ammortamento…

Vale 2,6 miliardi per il 2016 e 4 miliardi a regime nel 2017 il taglio dell’IRES, cioè della tassa sui profitti. La sua applicazione nel 2016 è subordinata all’approvazione in sede europea della cosiddetta “clausola migranti”, quella per cui in nome dei costi dell’accoglienza per “l’emergenza migranti” si tagliano per l’appunto le tasse all’imprese! Ma nel 2017 il taglio dell’Ires ci sarà comunque e le risorse saranno reperite “da tagli alla parte corrente delle spese della Pubblica Amministrazione”, come recita la relazione tecnica.

580 milioni sono destinati al superammortamento al 140% per gli investimenti attuati entro il 2016, che diventano 1 miliardo negli anni dal 2017 al 2021.

831 milioni sono destinati alla reiterazione, ridotta al 40%, degli sgravi contributivi per le assunzioni o le trasformazioni di contratti preesistenti nel “contratto a tutele crescenti”, che diventano 2,1 miliardi per il 2017.

Solo per queste misure si va dai 4 miliardi aggiuntivi nel 2016 agli oltre 7 miliardi nel 2017. Ma accanto alle voci principali ci sono una miriade di altri micro provvedimenti che o stanziano direttamente risorse per le imprese o come nel caso della detassazione dei premi di produttività (quasi 600 milioni a regime) e del sostegno al cosiddetto welfare aziendale, mirano tanto a promuovere la sostituzione della contrattazione collettiva nazionale con quella aziendale e territoriale, quanto all’aziendalizzazione delle prestazioni sociali mentre si smantella il welfare pubblico e universalistico.

Si deve inoltre avere presente che la scorsa legge di stabilità (come anche le leggi di stabilità dei governi Letta e Monti) aveva già significativamente ridotto il prelievo fiscale sulle imprese con i 5 miliardi di riduzione dell’IRAP per il 2015 (4,3 a regime dal 2016) ed ulteriori 4 miliardi nel triennio 2015-2017attraverso una serie di provvedimenti minori.

Mentre per la decontribuzione decisa sempre dalla scorsa legge di stabilità, estrapolando dai dati forniti dalla relazione tecnica, le risorse pubbliche utilizzate ammontano a 2,5 miliardi per il 2015 e 6,3 miliardi per il 2016 (4,6 se si considerano le stime su quanto dovrebbe rientrare per le tasse sulla nuova occupazione che tuttavia valgono solo per l’occupazione aggiuntiva) . Risorse molto ingenti che sono servite e serviranno per promuovere il contratto “a tutele crescenti”, cioè nella maggior parte dei casi per finanziare la trasformazione di vecchi contratti a termine, in nuovi contratti a termine, dato che il Jobs Act ha sancito la possibilità di licenziare arbitrariamente sempre e comunque.

Dunque sono tanti i soldi per le imprese, dati “a pioggia” cioè senza finalizzazione alcuna: dagli oltre 8 miliardi (tra Irap, decontribuzione e altre misure) del 2015, ai circa 15 miliardi per il 2016, complessivi degli interventi della legge di stabilità dello scorso anno e di quella attuale.

E’ invece totalmente assente qualsiasi strategia di politica industriale, e si prevede addirittura una contrazione degli investimenti pubblici. Questo a fronte di una riduzione complessiva degli investimenti nel periodo 2008-2014 del 30%.

Dal punto di vista dell’occupazione, va sottolineato, come le continue dichiarazioni del governo, sugli effetti benefici delle proprie politiche nella creazione di lavoro, vadano demistificate per quella che sono: un’operazione di propaganda.

L’Italia vede una crescita dell’occupazione inferiore rispetto al resto d’Europa. Con le risorse ingentissime mobilitate con la legge di stabilità 2015 nel mentre che si faceva tabula rasa dei diritti per in neo assunti, l’occupazione aggiuntiva “permanente” a settembre 2015 rispetto a settembre 2014 è di sole 113.000 unità, mentre sono 192.000 gli occupati complessivi in più (dati Istat): davvero poca cosa considerando l’esplosione di forme iper-precarizzanti come i voucher.

Restano oltre i 3 milioni i disoccupati ufficiali, mentre sono il doppio quelli effettivi, considerando cioè coloro che non ricercano attivamente lavoro perché scoraggiati, ma che sarebbero disponibili a lavorare se un lavoro ci fosse. Il governo peraltro non ritiene un problema che nei propri stessi documenti il tasso di disoccupazione sia anche nel 2019 sopra il 10% con la disoccupazione giovanile intorno al 40%.

TASI-IMU

Accanto a questi provvedimenti l’altro piatto forte come è noto è l’eliminazione della TASI-IMU per l’abitazione principale (3,7 miliardi). 530 milioni sono destinati alla riduzione dell’IMU sugli “imbullonati”, 405 milioni per l’IMU agricola.

L’eliminazione generalizzata dell’imposta sull’abitazione principale, va a vantaggio dei più ricchi con 1,4 miliardi regalati a chi possiede abitazioni di pregio maggior, che pur essendo solo il 10% del totale concorrevano per il 37%al gettito complessivo. Questi proprietari godranno di uno sgravio in proporzione maggiore di chi ha una casa più modesta, mentre persino chi ha ville e castelli (su cui alla fine la Tasi resta perché il governo ha fatto retromarcia per puri motivi di immagine), in virtù della diminuzione dell’aliquota massima godrà di uno sconto medio di 1.000 euro.

Il taglio indiscriminato della Tasi mette inoltre i Comuni nella condizione di dipendere dai finanziamenti centrali, e non è davvero esercizio di fantasia prevedere che quelle risorse saranno oggetto di contrattazioni continue e di ulteriori riduzione.

LE SPESE MILITARI

I soldi ci sono anche per le spese militari. Nonostante la risoluzione approvata dal Parlamento nel settembre 2014 che poneva l’obiettivo di dimezzare lo stanziamento per gli F35, la legge di stabilità conferma i 13 miliardi per il programma pluriennale di acquisto dei 90 cacciabombardierida attacco in grado di trasportare ordigni nucleari. Sono incrementati i fondi Mise per Fremm, Vbm, Eurofighter. Non viene mantenuto l’impegno ad aumentare le risorse per il servizio civile.

I tagli che investono pesantemente ogni funzione pubblica, lasciano indenne il comparto militare.

3. I SOLDI NON CI SONO: COME TAGLIARE TUTTO CIÒ CHE È PUBBLICO

A fronte delle cospicue risorse destinate a imprese e ricchi, spesa militare, stanno nuovi pesantissimi tagli a tutto ciò che è funzione pubblica: dalla sanità, alle regioni, a ministeri e società pubbliche, al pubblico impiego, che vede una mancia scandalosa invece del rinnovo del contratto, e un nuovo blocco del turn over. Complessivamente le “minori spese” ammontano a 8,4 miliardi nel 2016, 8,6 miliardi nel 2017 e 10,6 nel 2018. E’ evidente la volontà di distruggere la funzione pubblica ed insieme i diritti sociali.

I tagli alla sanità.

Il finanziamento per il Servizio Sanitario Nazionale viene rideterminato in 111 miliardi, ivi compresi gli 800 milioni finalizzati all’aggiornamento dei LEA (Livelli essenziali di assistenza).

l Patto per la salute siglato da governo e regioni poco più di un anno fa (luglio 2014) prevedeva in 115,4 miliardi il finanziamento per il 2016. Il decreto legge 78/2015 aveva già ridotto il finanziamento di 2,352 miliardi portandolo a 113,097. Ora la riduzione ulteriore è di 2,097 miliardi. In sostanza in poco più di un anno i finanziamenti previsti a luglio 2014 sono stati tagliati di 6,7 miliardi. In questo modo la spesa pubblica per la sanità si collocherà al 6,6% del Pil, cioè ad uno dei livelli più bassi in assoluto in Europa.

Va ricordato che, anche prima degli ultimi tagli, quando la spesa pubblica per la sanità era al 7% del Pil, questo livello era inferiore di 1,7 punti di Pil e di 632 euro in termini di spesa pro-capite (1793 euro contro 2425) rispetto alla media dell’Unione Europea a 15. Dopo di noi ci sono solo Spagna, Grecia e Portogalllo (Rapporto sullo Stato Sociale 2015).

Gli ulteriori tagli alla sanità, in un paese in cui, come conferma l’ultimo rapporto del Censis, in quasi la metà dei nuclei familiari, almeno una persona in un anno ha dovuto fare a meno di una prestazione medica per l’insostenibilità delle liste d’attesa o/e per l’onerosità dei ticket, rende evidente la volontà di distruggere la sanità pubblica ed universalistica e di spingere progressivamente verso modelli assicurativi. Una regressione sociale gravissima ed inaccettabile.

I tagli a regioni, ministeri, società pubbliche.

Il quadro diventa più grave se ai tagli al finanziamento del servizio sanitario nazionale si sommano quelli alle regioni, che hanno nella sanità, la voce di intervento e di spesa di gran lunga prevalente.

La Legge di stabilità prevede tagli alle regioni per 3,98 miliardi di euro nel 2017, 5,48 miliardi nel 2018 e 2019. Non sono compresi in questi tagli gli effetti del blocco del turn-over di cui si dirà più avanti, mentre è compresa la riduzione di spesa derivante dalla centralizzazione dell’acquisto di beni e servizi che pesa tuttavia per soli 480 milioni . Come sottolineato in sede di audizione parlamentare della presidenza delle regioni, tuttavia, il quadro diventa drammatico se alle misure previste dalla attuale Legge di Stabilità, si sommano le misure derivanti dalle passate finanziarie e da diversi tagli di settore. In questo modo “nel 2016 l’insieme dei tagli che cadono sul sistema Regioni, ordinarie e straordinarie, derivanti da tutte le leggi di stabilità del passato e anche da leggi di settore, ammontano a circa 9 miliardi e mezzo, se si esclude il pareggio di bilancio di quest’anno, e che arrivano a più di 11 se si include il miliardo e 850 milioni di risparmio del sistema Regione che viene trattenuto come copertura a livello dello Stato… La situazione sul pluriennale è poi particolarmente preoccupante con altri cinque miliardi nel 2017 e sette nel 2018. Ormai i margini di manovra delle Regioni si vanno esaurendo”.

E’ evidente che sulla sanità e sui trasporti pubblici in particolare, ma più complessivamente sul sistema regionale siamo ad una destrutturazione complessiva di diritti e possibilità di intervento.

Anche i tagli a ministeri e società pubbliche, sono pesanti. Ammontano a 3,1 miliardi nel 2016, 2,4 nel 2017, 1,7 nel 2018, di cui per il 2016 1,6 miliardi di riduzione delle spese in conto capitale, cioè degli investimenti. Anche in questo caso al netto della riduzione di spesa derivante dalla centralizzazione degli acquisti di beni e servizi, che vale circa 160 milioni l’anno, e dei “risparmi” derivanti dal blocco del turn-over.

Proseguono dunque massicciamente i tagli, la riduzione del perimetro e la destrutturazione complessiva della funzione pubblica. A tutto questo va aggiunto da un lato quanto previsto nelle stessa legge di stabilità per il pubblico impiego, con il blocco del turn-over e della contrattazione, dall’altro il programma di privatizzazioni programmate dal DEF con introiti previsti per lo 0,41 % del Pil nel 2015, lo 0,5 nel 2016 e 2017 e 0,3 nel 2018, pari complessivamente a quasi 30 miliardi.

Il nuovo blocco del turn-over e della contrattazione nel pubblico impiego.

Sotto il titolo di involontario (o volontario?) scherno “esigenze indifferibili”, la Legge di Stabilità si occupa del contratto delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici. Nonostante la sentenza della Corte Costituzionale, per il “rinnovo” del contratto vengono stanziati 219 milioni di euro per 1,3 milioni di lavoratori contrattualizzati a livello centrale (circa 12 euro mensili lorde di incremento), 81 milioni di euro per i 500.000 lavoratori del comparto sicurezza, mentre per altri 1,2 milioni di lavoratori le risorse per il “rinnovo” contrattuale sono in carico alle singole amministrazioni!

Questo dopo 6 anni di blocco della contrattazione!

Le risorse stanziate sono poco più della metà di quanto destinato alla riduzione dell’IMU sugli imbullonati, meno di un dodicesimo di quanto varrà a regime la nuova riduzione delle tasse sulle imprese… e si potrebbe continuare.

Ma c’è di più: a fronte di pochissime e settoriali assunzioni è previsto un nuovo blocco del turn-over. Per le amministrazioni dello Stato, le agenzie, gli enti di ricerca, le regioni e gli enti locali, le assunzioni a tempo indeterminato possono avvenire solo entro la misura del 25% del budget derivante dalle cessazioni di personale con la medesima qualifica avvenute nell’anno precedente. La norma è sospesa per regioni ed enti locali per 2017 e 2018 per riassorbire il personale delle province, ma la nuova stretta è pesantissima.

I “risparmi” complessivi previsti per il blocco del turn over, vanno dai 44 milioni del 2016 a quasi 1 miliardo (919 milioni) nel 2019, 3 volte quanto stanziato per il “rinnovo” del contratto.

Come sottolinea il dossier del servizio studi del Senato “andrebbero richieste adeguate rassicurazioni in merito alla effettiva e piena sostenibilità dell’irrigidimento del blocco parziale del turn over, dal momento che negli anni più recenti le amministrazioni hanno subito già un blocco drastico dei reclutamenti che potrebbe averle già messe nella condizione di non poter assicurare i livelli minimi di servizio.” Va ricordato anche che dal 1 gennaio 2017 non sono più attivabili contratti di collaborazione e che nel 2018 scadranno i circa 80.000 contatti a tempo determinato di durata ultratriennale.

Va ricordato più in generale come il numero di dipendenti pubblici ogni 100 abitanti in Italia nel 2010, prima dei tagli e del blocco del turn-over degli ultimi anni, fosse abbondantemente sotto la Francia e l’Inghilterra (5,9 contro 8,5 della Francia e 9,2 del Regno Unito – dati della Ragioneria Generale dello Stato). La vulgata di un settore pubblico ipertrofico nel nostro paese è totalmente falsa. Accanto a perduranti elementi di inefficacia che certo non si affrontano con nuovi tagli, in generale siamo alla messa in discussione della capacità di erogare i minimi servizi essenziali.

4. QUALCHE MANCIA PER GLI ESODATI, LE POVERTÀ, LA CONDIZIONE DI DISAGIO SOCIALE.

Se per quel che riguardava imprese e ricchi, gli interventi sono in termini di miliardi sonanti, per esodati, povertà, disagio sociale, le risorse sono pochissime, centellinate solo per le emergenze, e spesso coperte da tagli all’interno dello stesso comparto.

Le pensioni

La legge di stabilità non contiene nessuna misura di flessibilizzazione della controriforma Fornero. I provvedimenti previsti riguardano il varo della settima salvaguardia per gli esodati, la cosiddetta “opzione donna” e il modestissimo aumento della no-tax area, le cui coperture sono interne al comparto, in particolare attraverso un nuovo intervento sulle rivalutazioni delle pensioni medie rispetto al costo della vita o attraverso l’accesso a fondi come quello per i lavori usuranti.

La settima salvaguardia per gli esodati copre 26.300 lavoratori, mentre secondo i dati Inps le lavoratrici e i lavoratori da garantire sono 49.500. Ne restano scoperti oltre 23.000. Restano esclusi tanto i cosiddetti quota 96 della scuola, quanto i macchinisti.

Per quel che riguarda “opzione donna” si prevede, a chiusura della sperimentazione, che l’opzione (cioè la possibilità di andare in pensione con 57 anni e 3 mesi, se lavoratrici dipendenti, e 58 anni e 3 mesi, se lavoratrici autonome, con 35 anni di contributi versati ed accettando il ricalcolo della pensione con il solo metodo contributivo) sia estesa alle donne che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2015 anche se la decorrenza del trattamento pensionistico è successivo a quella data.

Per quel che riguarda l’estensione della no-tax area, da 7500 a 7750 euro per i pensionati sotto i 75 anni e da 7750 a 8000 per i pensionati sopra i 75 anni, questa scatta soltanto dal 2017 ed è di portata assai modesta (intorno ai 5 euro mensili).

Come è modestissima la sperimentazione del part-time in uscita per i lavoratori che maturano entro il 2018 i requisiti per la pensione di vecchiaia con risorse previste per 60 milioni nel 2016.

La copertura di queste misure è comunque tutta interna al comparto pensionistico. Proviene dalla riduzione delle rivalutazione delle pensioni superiori a 4 volte il minimo, dalle somme non spese del Fondo Esodati, dall’indecente saccheggio del Fondo per i lavori usuranti. Come afferma la relazione tecnica si tratta di un fondo sottoutilizzato. Il che è certamente vero dopo che la controriforma Fornero ha peggiorato in modo gravissimo la condizione di questi lavoratori!

Va ricordato anche in questo caso il dato di fondo. I contributi pensionistici vengono usati da anni in Italia per finanziare il bilancio dello stato e non viceversa. Dal 1996 ad oggi il saldo tra contributi versati e pensioni erogate al netto delle ritenute fiscali (che rientrano nelle casse dello stato ) è sempre stato in attivo. Nell’ultimo anno l’attivo è stato di 21 miliardi di euro.

Qualche mancia per le povertà

Gli interventi per il contrasto alle povertà sono totalmente inadeguati rispetto alla situazione di sofferenza sociale cresciuta esponenzialmente in questi anni.

Secondo i dati Istat relativi al 2014, infatti, sono 1 milione e 470 mila le famiglie in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102 mila persone, 2 milioni 654 mila famiglie e 7 milioni 815 mila persone sono invece in condizione di povertà relativa. I dati sono stabili rispetto all’anno precedente e concentrati geograficamente: la povertà assoluta si attesta al 4,2% al Nord, al 4,8% al Centro e all’8,6% nel Mezzogiorno.

A fronte di questa situazione il governo stanzia 600 milioni aggiuntivi per il 2016 portando le risorse complessive a 1,6 miliardi e 1 miliardo per il 2017 portando le risorse complessive per quell’anno a 1,5 miliardi. Dei 600 milioni aggiuntivi 220 sono destinati a finanziare l’Asdi, l’assegno di disoccupazione, e 380 il Sia (Sostegno per l’inclusione attiva, misura attivata dal governo Letta e rivolta esclusivamente ai nuclei familiari con un minore). Il finanziamento complessivo per il Sia raggiunge complessivamente la cifra di 750 milioni per il 2016 (tra quanto era stato già stanziato e le nuove risorse) e di 1 miliardo per il 2017.

Se fossero distribuiti sulla sola platea dei poveri assoluti, non dando nessuna risposta alla condizione di povertà relativa, le risorse stanziate dal governo comporterebbero 15 euro lorde mensili, conteggiando invece la sola platea dei nuclei familiari in povertà con un minore che sono circa 600.000, questo significa 104 euro mensili lorde per nucleo familiare.

Va ricordato che la proposta di reddito di inclusione sociale avanzata dall’Alleanza contro la Povertà (Acli e Caritas) prevede risorse per 7 miliardi, mentre il reddito di dignità sostenuto da Libera per quanto non quantificato precisamente, nel prendere a riferimento le proposte esistenti in Parlamento (quella del Movimento 5 Stelle e quella di iniziativa popolare proposta da Bin, Sel, Prc ed altri, quantificate dall’Istat rispettivamente in 14,9 e 23,5 miliardi) si situa approssimativamente sulla cifra di 20 miliardi.

La miseria delle risorse stanziate per il contrasto alla povertà è ancora più grave considerati i tagli complessivi a cui è sottoposto il sistema di welfare, l’assenza di un piano per il lavoro, l’assenza di un piano per il Sud.

5. L’EVASIONE ED ELUSIONE FISCALE

La legge di stabilità 2016 prevede una serie di misure che favoriscono l’evasione fiscale. Con la scusa di sostenere i consumi, il governo ha innalzato l’uso del contante da 1000 a 3000 euro, invece di agire per rendere più semplice e meno costoso l’uso di carte e bancomat.

Una scusa evidentemente giacchè nessuno va in giro con 3000 euro in contanti per poter meglio acquistare un televisore o una lavatrice. La volontà di favorire l’evasione è resa evidente dal fatto di aver innalzato l’uso del contante anche per il pagamento dei canoni di locazione e nella filiera dei trasporti, dove la tracciabilità è un elemento decisivo per prevenire e reprimere attività legate a traffici illegali: dal caporalato al riciclaggio.

Il governo con i decreti di settembre scorso in attuazione della cosiddetta delega fiscale ha peraltro depenalizzato l’elusione fiscale praticata soprattutto dalle grandi imprese.

Ricordiamo che l’Italia con un’evasione fiscale pari a circa 130 miliardi l’anno è il paese con la più alta evasione in Europa: il recupero soprattutto della grande evasione ed elusione dovrebbe essere un obiettivo prioritario.

Circolo “Enzo Simeone”

Partito della Rifondazione Comunista

Formia

Avremo anche noi dei giovanissimi terremotati? Chissà

1 Dicembre 2015

La Regione Lazio con DGR 566 del 4/12/2010 ha deliberato di finanziare il progetto “MILLE ASILI PER IL LAZIO” allo scopo di al potenziare le strutture dedicate alla prima infanzia nel territorio regionale, in grado di garantire elevati livelli di attenzione al bambino nei primi anni di vita, fondamentali per la crescita armoniosa dell’individuo.

Leggiamo dal sito www.socialelazio.it che “il Progetto prevede la costruzione di nuove strutture per l’infanzia, anche attraverso un coinvolgimento finanziario di privati, per puntare al raggiungimento dell’obiettivo previsto dalla Strategia di Lisbona di 33 posti di asili nido ogni 100 bambini da 0 a 3 anni. La formula di finanziamento innovativa mette insieme finanziamenti regionali, investimenti di istituti bancari rivolti al sociale, enti locali e gestori”.

Successivamente è stato approvato, con determinazione n.B05445 del 14/08/2012 (a firma di Raniero Vincenzo De Filippis), un bando a procedura aperta per la realizzazione di n.5 asili nido prefabbricati in legno da adibire ad Asili Nido con capienza di n.30 posti bimbo, presso i Comuni di Guidonia Montecelio, Sacrofano, Borgorose, Cerveteri e Formia.

Con Determinazione 5 ottobre 2015, n. G11917 è stato deciso di aggiudicare definitivamente alla prima classificata, la società A.B.P. Novicelli S.p.A., con sede in Via Padania Superiore n.67 – Castegnato (BS), l’appalto pubblico per i lavori in oggetto con il ribasso del 1,000%, per un importo complessivo, al netto del ribasso, di € 4.394.824,44.

Dalle informazioni in nostro possesso ci risulta che, a Formia, l’asilo verrà realizzato alle spalle dell’attuale scuola materna che si trova in via Cassio II.

Siamo sorpresi che tale informazione sia sfuggito all’ufficio propaganda del comune di Formia, ma più di un dubbio ci assale, circa la qualità dell’opera che si andrà a realizzare nella nostra città.

D’altronde sugli edifici scolastici di proprietà comunale realizzati negli ultimi anni pare sia caduta una maledizione.

Infatti tutti i nuovi edifici scolastici hanno dimostrato di essere stati realizzati malissimo, tant’è che si è dovuto ricorrere a interventi tampone per mettere una pezza alle deficiente strutturali che da subito hanno dimostrato di avere.

Ultimo in ordine di tempo la scuola “Arcobaleno” di Penitro, che costata 560mila euro di soldi pubblici, ad appena due mesi dalla sua inaugurazione è rimasta chiusa per alcuni giorni a causa delle piogge che l’hanno allagata.

Di certo non una bella figura per chi doveva sopraintendere alla corretta esecuzione dei lavori, ma d’altronde a Formia i lavori pubblici riservano sempre più di qualche sorpresa.

Un andazzo che va avanti da anni, ma che pare interessi veramente a pochi.

La domanda è: “sicuro che non ci troveremo di nuovo di fronte all’ennesima pagina nera dei lavori pubblici formiani?”

E ancora: siamo sicuri che la realizzazioni di prefabbricati in legno sia la soluzione migliore, soprattutto pensando che gli ospiti saranno dei bambini in tenerissima età? E ancora: il comune di Formia è venuto a conoscenza di questo finanziamento?

In ultimo che ricordiamo che nel programma triennale delle opere pubbliche 2016/2018 che l’amministrazione comunale ha adottato con delibera n.258 del 14 Ottobre 2015 è prevista la realizzazione di un asilo comunale (valore dell’opera 100mila euro).

Non è che vorranno realizzare un asilo con le costruzioni della lego?

Circolo “Enzo Simeone”

Partito della Rifondazione Comunista

Formia

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