Pagate chi lavora

Ormai in uso nella nostra repubblica – se pur fondata sul lavoro (Articolo 1 della Costituzione) non pagare più chi lavora. D’altronde i tempi cambiano: una volta il padrone ti dava almeno una mancia, ora nemmeno più quella. Sei costretto a lavorare a titolo gratuito. Lo impone la legge, una delle tante prodotte dal “Renzi-pensiero”, ma che ha visto nei suoi predecessori degli ottimi maestri.
Il sistema “Lavora ma non ti pago” è sbarcato – con tutti i crismi della legalità – anche nella città di Formia.
Nel nostro caso il padrone è il comune di Formia. Infatti con deliberazione di giunta n. 273/2015 l’attuale giunta comunale ha approvato “di stipulare con l’I.I.S. Liceo Cicerone – Pollione un ‘apposita convenzione disciplinante i rapporti tra l’Istituto medesimo e l’Amministrazione comunale la quale si impegna ad accogliere a titolo gratuito nell’ambito dei servizi dei suoi settori i soggetti in alternanza scuola-lavoro”.
Il tutto è disciplinato da una convenzione tra i due soggetti che abbiamo provato a leggere, verificando poi che come temevamo si tratta proprio della messa in pratica della famosa alternanza scuola lavoro, con la quale si sono trasformate le scuole pubbliche in fabbriche che sfornano manodopera a costo zero e senza tutele per le aziende, anche quando come nel nostro caso è il comune di Formia ad esserne il beneficiario.
La cosa più assurda è che la prestazione lavorativa che lo studente si trova a dover svolgere non è considerata un vero e proprio lavoro. (Lo consente la legge).
E’ chiaramente scritto nella convenzione– all’articolo 2 . comma 1 – che “ l’accoglimento dello/degli studente/i per i periodi di apprendimento in ambiente lavorativo non costituisce rapporto di lavoro”.
Quindi in poche parole gli studenti si troveranno a lavorare per il comune di Formia senza ricevere in cambio alcun salario, nemmeno un misero rimborso spese.
Ovviamente spariscono anche le tutele previdenziali e le tutele sindacali. Oppure no?
Ma ancora: non è chiaro quanti saranno gli studenti interessati dall’operazione; né tanto meno quali saranno le mansioni svolte da essi, non essendo esse specificate chiaramente, è scritto genericamente “nell’ambito dei servizi dei suoi settori”; né ancora quali saranno gli orari di lavoro a cui dovranno sottostare.
D’altronde l’alternanza scuola-lavoro è obbligatoria, in quanto senza di essa non si può conseguire il diploma.
Ancora più curioso il fatto che l’alternanza scuola-lavoro riguardi il liceo, quando è risaputo che l’obbiettivo immediato dei liceali non è il lavoro ma l’accesso all’università, se pur tra le mille difficoltà che caratterizzano questo passaggio.
Così come non è difficile immaginare gli effetti nefasti dello stesso meccanismo sulle scuole tecnico-professionale da sempre considerate di serie B.
In generale è evidente l’obbiettivo di chi ci governa – con la scusa dell’insegnare n mestiere – di creare manovalanza a costo zero per le aziende (vedi l’ultimo accordo tra il ministero dell’educazione e McDonald’s che consegna 10mila studenti al colosso statunitense del fast food, che li potrà utilizzare a gratis).
Invece andrebbe migliorata l’offerta formativa, studiando percorsi di studi, che consentano agli studenti di laurearsi, visto che il nostro è uno dei paesi con il più basso tasso di laureati tra quelli occidentali.
Lo sa bene il il presidente di Almalaurea, Ivano Dionigi, ex rettore dell’università di Bologna, che illustrando nei giorni scorsi il ventottesimo Rapporto sul profilo e la condizione occupazionale dei laureati, stilato su un campione di 71 atenei, ha detto: «L’università non rimescola più le classi sociali né crea parità e giustizia, una parola in esilio che bisognerebbe rimpatriare».
D’altronde lo aveva fatto capire l’ex-presidente del consiglio Berlusconi, dicendo: “non può essere che anche l’operaio voglia il figlio dottore”.
In questo senso va interpretato evidentemente l’aumento esponenziale delle rette universitarie, a fronte di un numero esiguo di borse di studio, vergognoso soprattutto per un paese che aspira ad essere una potenza industriale.
In generale secondo uno studio dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), il 47% degli italiani si informa (o non si informa), vota (o non vota), lavora (o non lavora), seguendo soltanto una capacità di analisi elementare.
Nemmeno andrà meglio ai lavoratori del futuro ai cui toccherà vivere sulla propria pelle quella scia di riduzione dei diritti del lavoro, di sfruttamento della precarietà e di contrazione del welfare che caratterizza da tempo il mondo del lavoro, nel quale vince il voucher e non il lavoro fisso.
L’invito che rivolgiamo ai futuri lavoratori è quello di organizzarsi per lottare contro chi vuole creare una nuova leva di schiavi al servizio dei moderni padroni, svincolati da qualsiasi obbligo seppur minimo.
E’ necessario non cedere all’ineluttabilità del presente, guardando al passato per un futuro migliore dell’esistente.
Agli studenti di oggi, che saranno i cittadini e lavoratori del futuro, auguriamo di fare proprio lo slogan:“com’è triste la prudenza” che faceva bella mostra di sé su di uno striscione che campeggiava durante un occupazione di qualche anno fa e quindi li invitiamo alla sollevazione.

Circolo “ENZO SIMEONE”
partito della Rifondazione Comunista
Formia

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