Il porto turistico, l’ennesima cattedrale nel deserto

Il progetto del porto turistico di Formia ricalca pedissequamente la politica economica seguita, dall’inizio degli anni 90 ad oggi, dai governi di centro-destra e di centro-sinistra, vale a dire quella di vendere a società private risorse naturali e settori industriali importanti, prima costruiti e poi gestiti negli anni passati con soldi pubblici, poi venduti con la giustificazione del miglioramento della qualità dei servizi e delle risorse. Lo abbiamo visto per l’acqua, per l’energia, per i trasporti, per le telecomunicazioni, ceduti a basso prezzo ammaliati dall’enorme vantaggio che sarebbe derivato dal mercato e dalla competitività.

Negli anni abbiamo assistito ad operazioni finanziarie che, da un lato, hanno generato lauti profitti per il capitale finanziario, dall’altro, hanno impoverito le risorse ed i redditi e, da ultimo ma non meno importante, precarizzato il lavoro, con un notevole danno per la qualità della vita dei lavoratori. Il porto turistico – nostro malgrado – non si sottrae a questo meccanismo. Perché, ad esser chiari, noi siamo favorevoli alla ricerca ed all’innovazione, quindi alla modernizzazione del sistema infrastrutturale ed alla valorizzazione del territorio, ma a condizione che tutto ciò avvenga in un contesto di pianificazione territoriale approfondita e verificata, e non che sia solo utile all’investitore privato , ma non al cittadino.

Invece, al contrario di quanto avremmo desiderato, il progetto di “Recupero delle aree portuali e delle aree archeologiche adiacenti” interviene in una situazione caotica di cui non è dato sapere quale sia la via d’uscita e soprattutto quale sia il reale vantaggio per l’interesse generale. In questo stato di cose, il porto appare più un tentativo, una testa di ponte, costruito nel futuro della città senza aver ben chiaro in che modo si attraverserà il guado, col grave rischio di costruire l’ennesima cattedrale nel deserto (e Formia fa invidia a Roma per cattedrali di questo tipo) il cui senso e storia sarà destinato a perdersi nella memoria degli abitanti.

Quest’opera, vista da questo lato, rischia di divenire proprio come il parcheggio del porto, realizzato trent’anni fa per lo sviluppo industriale di Formia e rimasto lì inutilizzato per anni. Oppure come la strada litoranea che ha favorito i collegamenti tra nord e sud della nazione, producendo enorme vantaggio per i comuni limitrofi, ma ben poco ha lasciato alla città di Formia, se non il grave danno in termini di consumo di territorio, di distruzione di paesaggio e siti archeologici, di qualità ambientale.

Quindi, se da una parte l’investitore finanziario – in pieno conflitto d’interessi – dorme sogni tranquilli dentro una botte di ferro, noi siamo agitati dalle conseguenze che quest’opera produrrà nel futuro per la nostra città.

Infatti, per quanti non sanno o fanno finta di non sapere, è vero che il privato gestirà il nuovo porto turistico per 600 posti barca medio grandi tra cui 112 maxi yacht fino a 70 metri. Come è anche vero che, nel malaugurato caso in cui il porto turistico dovesse soffrire una crisi dovuta anche alla vicinanza dei numerosi porti turistici che altre città limitrofe prevedono di costruire, il concessionario potrà contare sull’area commerciale che andrà a realizzare sul piazzale Vespucci, area demaniale di cui prima non si comprendeva il senso visto l’uso, ma che ora ne ha uno e ben chiaro.

Già allora la realizzazione del piazzale Vespucci, per il nostro territorio, non è stata indolore considerato il potente fenomeno di erosione della costa di levante, di cui ben sanno gli operatori balneari alle prese con un ripascimento annuale a causa della riduzione delle spiagge.

Oggi, invece di pensare ad una riqualificazione del waterfront, con un respiro più ampio e mirato a risolvere le discontinuità prodotte da un’edificazione storica e selvaggia che mortificano il rapporto mare – città, si pensa di penetrare nel mare con un nuovo avanzamento, per costruire una cittadella per 600 nababbi con ville galleggianti, che lascia irrisolti tutti i problemi della costa centrale.

Perché, lasciando da parte i toni trionfalistici provenienti da più parti, di problemi ce ne sono e più di uno.

Il primo riguarda la variazione dell’equilibrio naturale della linea di costa con la determinazione di un grave squilibrio tra il processo di deposizione e quello erosivo. Su questo oltre ai fenomeni naturali, tipo innalzamento del mare e la subsidenza, incidono non poco sia la cementificazione delle coste fluviali e marine, sia opere marittime e grandi porti, che alterano il trasporto solido nell’acqua. Nel Lazio l’erosione dei litorali interessa il 45% della costa, il fronte in arretramento è di 128,5 Km sui 338,5 totali. A causa di ciò il sistema ambientale su cui poggia l’economia derivante dal turismo è messo in serio pericolo. La valutazione dei dati legati al fenomeno mostra come strutture e infrastrutture rigide protese in mare, quali porti, e approdi, favoriscono i fenomeni erosivi, deviando verso il largo i sedimenti fluviali che costituiscono il materiale di ripascimento naturale con la deposizione sulle coste sabbiose. Il comune in tal senso deve iniziare a monitorare lo stato delle spiagge per provvedere tempestivamente al eventuali modifiche della linea di costa. Iniziando a prevedere interventi di mitigazione diversi dalle orrende scogliere costruite sul litorale di Santo Janni, proprio per difendere la costa e che hanno danneggiato non poco la zona deturpandone il paesaggio.

Il secondo riguarda le opere di collegamento da realizzare tra la città ed il nuovo porto e gli effetti sul traffico, visto che appare inverosimile la prossima realizzazione della pedemontana. Se non avverrà come da tempo chiediamo, una riduzione del traffico nella zona centrale del territorio, temiamo che il nuovo porto graverà sul sistema viario urbano già al collasso senza apportare alcun vantaggio. Allo scopo, quanto meno sarebbe stato utile introdurre la nuova opera in un territorio con una mobilità diversa e proiettata verso sistemi di spostamento alternativi.

Alla stessa stregua, la realizzazione del nuovo porto, invece di trascurare la dislocazione della cantieristica locale, per concentrarsi sull’area portuale, avrebbe dovuto affrontare la questione ricercando delle soluzioni che consentissero la continuità delle attività cantieristiche e la fruibilità da più punti della costa da parte dei normali cittadini, espropriati del mare. Come già peraltro sperimentato in passato con il bando di concorsi di idee riguardanti i temi urbani della nostra città, che quanto meno hanno consentito di offrire una sventagliata di soluzioni progettuali, in parte poi anche realizzate.

In questo scenario, il contributo a fondo perduto di 1,1 milioni di Euro che la società concessionaria, peraltro dovuto, visto l’oggetto dell’intervento che – ricordiamo – riguarda anche Recupero delle aree archeologiche adiacenti appare ben poca cosa rispetto alle modifiche che l’introduzione della nuovo porto renderà necessario.

In conclusione, quest’opera con la sua struttura economica e sociale piramidale, dove la redditività dell’opera diminuirà terribilmente dall’alto, accessibile ai pochi finanzieri e politici, verso il basso accessibile alla gran parte della cittadinanza, appare come l’ennesima beffa per gran parte degli abitanti di Formia, i quali si vedranno espropriati di un altro pezzo importante del proprio territorio per far arricchire chi è già ricco, ricevendone in cambio poco salario e molto lavoro precario.

circolo “ENZO SIMEONE”
partito della Rifondazione Comunista
Formia

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