Basta morti sul lavoro in nome del profitto

Non è una fatalità la morte che giunge sul lavoro! Ma il verificarsi di un tragico disastro che solo una maggiore attenzione da parte di tutti i soggetti “istituzionali” coinvolti può eliminare dai cantieri come dalle fabbriche, ma per questo è necessario combattere chi assume una condotta superficiale, o tollerante nella gestione dei lavori e della sicurezza sui luoghi di lavoro.

Eppure, nonostante i continui moniti, questi eventi accadono con una frequenza tale da assumere la forma di un bollettino di guerra. La morte di Giuseppe Esposito è la conferma che sui luoghi di lavoro si combatte una guerra non dichiarata, o forse sì, ai danni dei lavoratori.

A riguardo i dati pubblicati sul sito http://cadutisullavoro.blogspot.com ,realizzato dall’Osservatorio Indipendente di Bologna sulle morti per infortuni sul lavoro, valgono molto più di mille parole. Dall’inizio dell’anno ci sono stati in Italia 227 morti per infortuni sui luoghi di lavoro, ma si arriva a 430 se si aggiungono i lavoratori deceduti sulle strade e in itinere. Sui luoghi di lavoro erano 161 il 12 maggio 2010, con un aumento delle vittime quindi del 29,8%.

Se poi scendiamo nel dettaglio il settore con l’incidenza maggiore di vittime è quello dell’edilizia, che ha avuto 65 vittime sui luoghi di lavoro dall’inizio dell’anno, il 28,3% sul totale, le morti in edilizia sono per la maggior parte da cadute dall’alto. Poi viene l’agricoltura che registra 62 vittime (il 28,1%).

La maggioranza degli agricoltori, muore in tarda età, schiacciati da trattori senza protezione che si ribaltano travolgendoli. L’industria ha già avuto 25 morti con l’11,3%, l’autotrasporto 16 con 7,5% Gli stranieri morti sono stati 24 l’11% sul totale. La metà delle morti sul lavoro di lavoratori immigrati si concentra in 3 regioni: Lombardia, Emilia Romagna, Veneto.

Un dato, quello degli immigrati morti sul lavoro, che sicuramente fotografa sicuramente al ribasso la realtà, visto che in molti casi, essendo gli immigrati sprovvisti di permesso di soggiorno, nessuno si preoccupa di segnalare la loro morte alle autorità competenti. Carlo Soricelli, curatore del sito http://cadutisullavoro.blogspot.com, scrive: “I lavoratori hanno bisogno soprattutto che si torni a parlare del lavoro come valore primario della società, di superare l’emarginazione culturale a cui sono stati sottoposti in questi anni.

E’ mia opinione che molti degli infortuni mortali sul lavoro siano dovuti all’oblio culturale a cui è stato sottoposto il mondo del lavoro. Tutta la nostra società malata di consumismo fine a se stesso ha bisogno della Cultura Operaia; dei sogni, delle idealità e delle utopie di chi lavora. I lavoratori morti non sono solo numeri per statistiche per un bilancio di fine anno, ma persone in carne ossa, con identità, famiglie, vite importanti, uniche e irripetibili. Vite spezzate, a volte dalla fatalità, ma più spesso dalla mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro”.

Le morti sul lavoro infatti non sono frutto della fatalità, ma piuttosto la conseguenza di una cultura, sempre più diffusa nel nostro paese, che ritiene superflua qualsiasi spesa per la sicurezza dei lavoratori. La stessa cultura che ha permesso agli industriali iscritti a Confindustria di tributare un lungo vergognoso applauso di solidarietà all’amministratore delegato della ThyssenKrupp – Harald Espenhahn – recentemente condannato in primo grado a 16 anni e mezzo per la morte dei sette lavoratori nel rogo di Torino, e che regala loro un diffuso senso di impunità, perché tanto difficilmente verranno chiamati a rispondere nelle aule dei tribunali. Intanto si continua a morire nell’indifferenza delle istituzioni, anzi peggio.

Il DLgs 81/08 che aveva cercato di invertire la tendenza e richiamare il mondo della produzione ai loro compiti ed alle loro responsabilità, come sancito dall’articolo 41 della costituzione, non a caso oggetto di attenzione da parte del “Capitale” che vorrebbe “riformarlo”, in senso peggiorativo. Dopo il 2oo8, gli unici interventi legislativi che ricordiamo, hanno solo peggiorato la situazione dei lavoratori, con il precariato a vita come ciliegina sulla torta. La situazione nella nostra provincia è preoccupante. I dati fotografano una realtà pesantissima, fatta di poche luci e molte ombre.

Per questo con più convinzione ribadiamo le questioni che ponemmo nell’ottobre 2010: Perché si è passati da un solo incidente mortale nel 2008 – secondo i dati dei sindacati edili – a cinque nel 2009 e a nove nel 2010 ? Perchè, per ciò che concerne le morti sul lavoro, la provincia di Latina è in controtendenza rispetto al resto dell’Italia? Ma soprattutto, quanti e quali sono i controlli che vengono fatti per combattere il mancato rispetto delle normative vigenti nei cantieri? Quali sono i fondi ed il personale di cui dispongono gli enti preposti ai controlli? Se sono pochi perché il loro numero non viene aumentato? Si è deciso che l’economia italiana deve continuare a crescere sulla pelle degli edili?

Corrisponde al vero che l’80% degli edili che muoiono nei cantieri lavorano non solo in nero, ma che lo fanno in condizione di massima insicurezza, non essendo dotati dell’attrezzatura prevista, e ricevendo in cambio un salario da fame? Alle domande che facemmo allora, e che oggi ripetiamo con la stessa forza, l’assessore Treglia non volle rispondere, si limitò a sottolineare, parole sue: «Il mio compito assessorile è rivolto alla promozione e diffusione dell’informazione e della formazione mantenendo la guardia alta in un settore dove la giungla e gli abusi sono all’ordine del giorno».

Noi ci aspettiamo più fatti, meno convegni. Le ultime parole le dedichiamo alla signora Esposito ed ai suoi due bambini, a cui va il nostro più sentito cordoglio per il triste lutto che li ha colpiti ed a cui assicuriamo il nostro impegno affinchè sui cantieri, come nei luoghi pubblici, siano rispettate le norme in materia di sicurezza. Nella speranza che quanto oggi accade con insopportabile frequenza, un giorno non accada più.

circolo “ENZO SIMEONE”
partito della Rifondazione Comunista
Formia

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